9 giugno 2011
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Prima di indignarci perché il Brasile non ha concesso l'estradizione di Cesare Battisti, militante dei "proletari per il comunismo" e accusato di quattro omicidi, due dei quali commessi contemporaneamente in due località diverse, guardiamo cosa succede a casa nostra e nelle nostre galere:
- Si finisce in prigione per i motivi più diversi ma nelle nostre carceri si rischia di morire: di malattia, di depressione, o ammazzati di botte.
- Si sopravvive in condizioni disumane dovute al sovraffollamento e alla mancanza di risorse.
- A questa morte lenta sfuggono i "pentiti", cioè coloro che denunciando i complici (veri e presunti) hanno evitato anni e anni di detenzione: come Marco Barbone, assassino confesso di Walter Tobagi e ora militante di Comunione e Liberazione e collaboratore del Giornale.
- Vi sfuggono anche coloro che hanno il potere economico e politico necessario per pagare i migliori avvocati o addirittura far approvare dal parlamento leggi "ad Personam".
Come replicare alla Giustizia brasiliana che ritiene che Battisti, cittadino comune non potente e non pentito (ma che si è sempre dichiarato innocente, proprio come Adriano Sofri) subirebbe in Italia un trattamento poco equo?