Una giornata perfetta è il risultato di diversi fattori: umani, meteorologici, ma anche casuali. Quando tutto questo coincide, si ha quella che amo definire "una giornata perfetta". Non si può prevedere, non si può programmare. Se ne possono creare le premesse e sperare che succeda. A me è successo sabato 14 agosto in Valmalenco.
Il giorno precedente avevo conosciuto Paolo, un "ragazzo" milanese vent'anni più giovane di me, che mi ha proposto un'escursione per me del tutto nuova, al rifugio Del Grande - Camerini, sul Disgrazia, sulla strada di Chiareggio, il versante della valle che conosco di meno. Io, che avevo programmato tutt'altro, ho accettato di uscire dalla solita routine e in serata ho appreso che a noi due si sarebbe aggiunto Massimo, un giovane ciclista ventenne amico dei proprietari dell'Edelweiss.
Alle sei e quaranta io e Massimo siamo saliti in macchina,e alle sette Paolo ci ha raggiunti a fondovalle e ci ha caricati sulla sua auto,mentre io abbandonavo la mia nel parcheggio davanti al bar Bucaneve a Lanzada.
Da quel momento in poi la mia giornata perfetta ha avuto inizio. Siamo saliti verso Chiareggio programmando i dettagli della gita, della quale solo allora cominciavo a comprendere la complessità. A Chiareggio abbiamo fatto colazione nel bar perfetto, il cui proprietario, cordiale e con un gran senso dell'umorismo, ci ha fatto tre ottimi cappucci che hanno reso squisite anche le briosc confezionate. Poi la ricerca del sentiero che ci avrebbe portato al rifugio Del Grande - Camerini, a quota 2600, utilizzando la via "diretta", come l'ha chiamata Paolo, praticamente un prato verticale con sassi e tornanti qua e là,e nessuno a rompere le balle o a darci indicazioni: nessuno, tranne noi tre.
L'escursione è iniziata in silenzio, con il sottoscritto preoccupato di regolare il passo e mascherare l'affanno iniziale,e i miei due compagni di avventura che ogni tanto si voltavano indietro,preoccupati e compassionevoli. Ma il silenzio è durato poco, e presto gli scherzi e le battute hanno alleviato gran parte della fatica. I tre sconosciuti erano diventati amici inseparabili, concentrati sulla meta ma pronti ad affrontare la salita con lo spirito giusto, con frequenti pause suggerite da bisogni fisiologici, dalla necessità di rifiatare, di fotografare un fiore o i compagni stravolti. La prima foto, goliardica, è stata di noi tre col pugno chiuso.
Il sodalizio si è interrotto a cinquanta minuti dal rifugio, quando le mie due guide hanno deciso di prendere una digressione passando su fantomatiche roccette e io ho proseguito da solo, seguendo i segniibianchi rossi sulle rocce, non immalinconico dalla solitudine quanto piuttosto sollevato dall'ansia di prestazione e libero di inciampare quando lo ritenessi opportuno.
Alle undici e quindici ero in vista della meta,ma mi aspettava un ultimo sorpresone: un robusto cavo di acciaio aveva preso il posto del sentiero e il rifugio era scomparso alla mia vista. Il mio intuito infallibile mi ha suggerito che se volevo arrivare dovevo attaccarmi a quel cavo e così ho fatto. A forza di braccia, e di tanto in tanto puntando qualche piede a casaccio, mi sono issato in cima e ho varcato, glorioso e gocciolante, la soglia del rifugio.
Mi aspettavo di vedere i miei amici ma le roccette li avevano in qualche modo distolti dalla meta, concedendomi l'onore del primato. Ho così conosciuto la numerosa e cordiale famiglia allargata del signor Giorgio, che mi ha ciricondato premurosa offrendomi consigli e ristoro. A loro ho confidato le mie pene per gli amici che tardavano,e sono stato soccorso dai loro binocoli e dalle loro parole di conforto. Erano ormai le 12 e 30 e allora "più che il dolor poté il digiuno". Mi sono seduto dentro e ho cominciato a mangiare, premurosamente servito da una gentile fatina di nome Bianca e dai suoi fratelli (o cugini) e da sua madre (o zia). All'una, quando Paolo e Massimo mi hanno raggiunto dopo il gran tour delle roccette, avevo già rotto le scatole all'intera famiglia,inducendoli perfino,per compiacermi, a una foto di gruppo con me. La ciliegina sulla torta è stata la medaglia di carta consegnatami da Bianca in persona (quella precedente era stata conquistata il giorno prima da un bambino di tre anni).
Il resto della giornata è stato altrettanto perfetto ma immalinconito dagli addii: salutati gli ospiti, pagato il conto, comprate due magliette, abbiamo iniziato la discesa, più breve ma più dolorosa (in tutti i sensi) della salita. In qualche modo, in due ore e mezzo, siamo tornati al punto di partenza, anche se i dettagli mi sfuggono, obnubilati dalla fatica. Mi sono risvegliato sulla mia macchina, davanti al bar Bucaneve, e da lì in qualche modo devo essermi arrampicato sui tornanti e infilato le gallerie per emergere davanti all'Edelweiss.
La giornata perfetta si è conclusa col racconto epico della nostre imprese e con lo scambio di fotografie e di indirizzi fra noi tre e i gentili gestori del Rifugio Del Grande - Camerini. Tutto questo non si poteva prevedere né programmare ma è stato divertente rievocarlo.