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9 agosto 2016 2 09 /08 /agosto /2016 16:18
Esercizi di zen metropolitano: il focus of interest

Che cos'è il focus of interest (campo di interesse)? Lo zen metropolitano si occupa di attenzione, ma è evidente che non si può prestare uguale attenzione a tutto e a tutti per un periodo di tempo indeterminato. Il segreto consiste allora nel creare un "campo di interesse" per tenere sotto controllo le cose che davvero importano per voi, trascurando tutto il resto. Un paio di esempi dovrebbe chiarire l'argomento.

State scrivendo un post per il vostro blog, ma contemporaneamente tenete visivamente sotto controllo le icone di outlook e di facebook perchè state aspettando posta e/o messaggi dai vostri amici. Ignorate quindi il resto della scrivania e della stanza ma siete consapevoli anche della luce (eccessiva? insufficiente?) e della temperatura nella stanza, regolata dal condizionatore, del quale ascoltate il regolare soffio, nonché del vostro smartphone in ricarica. Il noto fischio vi avvertirà se qualcuno vi contatta su whatsapp. Naturalmente, se doveste consegnare l'articolo con urgenza, silenziereste il telefono e vi sconnettereste da Internet, come faccio io ogni sera alle 22 e 30.

L'esempio vi sembra troppo "virtuale" e distaccato dalla realtà? Immaginatevi allora in spiaggia. State leggendo un libro, ma contemporaneamente badate a non scottarvi uscendo dall'ombra dell'ombrellone e tenete d'occhio: a) un tipo biondo mica male che sembra annoiarsi due file più avanti; b) il venditore di cocco che tarda a proporvi lo squisito frutto tropicale; c) l'ingresso della spiaggia, per controllare se arriva vostro figlio col portafoglio e le chiavi della doccia.

Provate ad applicare questo concetto e vedrete che la vostra attenzione sarà premiata e le distrazioni drasticamente limitate. Talvolta per portare a termine un'impresa (una maratona, una pedalata, un'escursione) il vostro focus dovrà invece ridursi drasticamente alla strada davanti a voi e al ritmo del vostro respiro.

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12 giugno 2016 7 12 /06 /giugno /2016 22:16
S'i'fossi a Roma

S’i’ fossi a Roma

S’i’ fossi a Roma voterei per Raggi,

a Napoli Luigi sosterrei;

fossi a Torino mi lambiccherei:

Appendino o Fassino ai ballottaggi?

S’i’ fossi Renzi, andrei da Mattarella,

“L’Europa ce lo chiede”, gli direi:

espulsioni, pensioni, unioni gay,

qualunque cosa per restare in sella.

Ciò detto, pur vivendo in tempi bui

dove il governo annaspa, parla e annoia,

se fossi Sergio, come sono e fui,

voterei Beppe senza troppa gioia,

perché Parisi è assai peggio di lui,

di Lega e Fascio gran caval di Troia.

Sergio Roedner

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8 aprile 2016 5 08 /04 /aprile /2016 20:53
Esercizi di zen metropolitano: ascoltarsi

Ascoltarsi è il punto di partenza per ogni esercizio di attenzione. Ascoltare i segnali che provengono dal nostro corpo e dalla nostra mente è indispensabile per comprendere che cosa di noi è opportuno cambiare e che cosa è meglio conservare. Il linguaggio del corpo, osservato negli altri, ci dice molte cose su chi ci sta di fronte. Analogamente, il nostro atteggiamento trasmette molte informazioni a chi ci circonda. Siamo certo che siano proprio le informazioni che vogliamo diffondere su di noi? Un viaggio in metropolitana o in treno, o una visita al supermarket, sono una miniera di notizie sugli altri, ma la comunicazione non è mai a senso unico.

Prima di tutto, il nostro corpo ci segnala il nostro disagio o al contrario il nostro benessere attraverso il battito cardiaco e il respiro, regolari o affrettati; il passo, la postura e lo sguardo rivelano la nostra condizione mentale e la nostra forma fisica. Le braccia incrociate davanti al petto denotano un atteggiamento di difesa, mentre se sono poste spavaldamente sui fianchi indicano una sicurezza di sè, peraltro non sempre sincera. Questa osservazione servirebbe a poco se non fosse seguita da una correzione: controllare il respiro, rilassare le spalle, sollevare lo sguardo ha un effetto positivo sul nostro stato d'animo: provare per credere.

Ascoltarsi quotidianamente è un'abitudine salutare: ci permette di prevenire l'ansia e la rabbia, di controllare la paura, di moderare il tono di voce. Questo non deve significare abbandonarci all'ipocrondria e ricorrere al medico o al farmacista per ogni più piccolo malessere. Al contrario, un'attenzione costante ma non morbosa previene la maggior parte dei disturbi che hanno un'origine psicosomatica e attenua l'effetto degli altri. Gnothi sauton, conosci te stesso, ammoniva l'oracolo di Delfi: solo così potrai capire gli altri e in qualche misura controllare il mondo che ti circonda.

Un problema più spinoso, che si può presentare occasionalmente, è quello di staccare la spina, cioè di rilassarsi dopo un periodo di concentrazione intensa. Oppure, più spesso, quello di distogliere la mente da un pensiero fisso che ci attanaglia: una paura, una preoccupazione, una minaccia che incombe su di noi e contro la quale ci sentiamo impotenti. "Distraetevi, fate un bel viaggio": non è un cattivo consiglio ma, come ammoniva Seneca, si rischia di portare con sè le proprie preoccupazioni e di rovinare la vacanza nostra e di chi ha stoicamente scelto di accompagnarci.

Tenere corpo e mente occupati quando siamo schiacciati da un grave dolore o da un pensiero assillante è senz'altro uno stratagemma efficace: è difficile pensare a una scadenza finanziaria mentre si guida e cento all'ora in tangenziale o si segue una spiegazione complicata o una puntata di Better Call Saul. Ma in situazioni estreme io ho trovato più efficace la ripetizione di un mantra, una formula qualunque che ci occupi la mente impedendoci di pensare ad altro.

Per i buddisti vanno benissimo i loro mantra. Personalmente ho trovato efficacissimo ripetere mentalmente la lista della spesa, invece di scriverla, sulla strada del supermarket e mentre facevo compere. Uno stratagemma ancora migliore è ingannare la mente ripetendo mentalmente proprio il pensiero che vi tormenta: la frase "Irina mi ha lasciato", ripetuta un centinaio di volte, attira la viostra stupida attenzione sulla frase e non sul fatto, e perde a poco a poco il suo contenuto di dolore. In modo non diverso gli psicoanalisti e gli stregoni di Scientology fanno rivivere cento volte l'episodio traumatico al paziente finchè non perde la sua "carica" emozionale.

Provate anche voi e ditemi se funziona!

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6 aprile 2016 3 06 /04 /aprile /2016 22:10
Esercizi di zen metropolitano 7: accendere e spegnere l'interruttore

L'idea fondamentale dietro a questo blog è di sviluppare gradualmente l'attenzione su noi stessi e il mondo che circonda, per provare a cambiare ciò che non ci piace e vivere con pienezza le esperienze quotidiane, evitando il più possibile gli automatismi che ci guidano come dei sonnambuli che attraversano la vita senza neppure accorgersene. L'analogia dell'interruttore mi sembra efficace e di comprensione immediata, e risale addirittura al mito della caverna nella filosofia di Platone.

Una persona nata e cresciuta in una caverna può osservare solo le ombre proiettate dalla luce di una candella sulla parete davanti a lui. Ma se riesce a liberarsi dalle catene e ad uscire dalla caverna, riuscirà a vedere il mondo reale, dapprima riflesso nella superficie di un lago, e poi, una volta abituato all'intensità della luce diurna, potrà alzare gli occhi al cielo e guardare, solo per un attimo, il sole e le stelle, simboli del mondo delle idee o iperuranio.

I nostri esercizi ci addestrano gradualmente ad uscire dal buio delle nostre abitudini e dalla falsa sicurezza dei nostri navigatori satellitari per guardarci intorno e cogliere la ricchezza del reale. Però, come nel mito di Platone, bisogna procedere per gradi. Credo di aver già raccontato come io mi sia incamminato su questa strada l'8 marzo, decidendo di spegnere il navigatore mentale nel breve tragitto in moto dalla palestra del Maestro Fugazza a casa mia. Quindici minuti di attenzione sono stati più faticosi e ricchi di scoperte di un'intera giornata vissuta meccanicamente.

Da allora ho gradualmente prolungato queste sedute di attenzione e concentrazione, applicandole a diversi momenti della mia giornata, al lavoro, in palestra, in casa, da solo o in compagnia di altri. I post di questo blog raccontano le varie scoperte che ho fatto e segnano le tappe di questo risveglio. Una cosa va però subito chiarita: non bisogna strafare con lo zelo dei neofiti, occorre prendersi sempre delle pause. A un certo punto la lampadina viene spenta, il telefonino silenziato, il computer messo a riposo. Un'attenzione prolugata può solo portare stress, ansia e paranoia. Ascoltarsi non significa incoraggiare la propria ipocondria, controllare il proprio aspetto e il proprio comportamento non vuol recitare un ruolo, ma esattamente l'opposto.

In ogni caso, l'autoascolto è il punto di partenza, e sarà oggetto di uno dei prossimi post. A proposito, una volta pubblicato questo articolo, spegnerò il PC. Le 22 e 30 sono il mio limite massimo, a meno che non abbia lavori urgenti da terminare. Questo mi lascia un'ora di tempo per placare i neuroni agitati e prepararmi al riposo notturno. I vecchi devono andare a dormire presto!... :)

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6 aprile 2016 3 06 /04 /aprile /2016 07:37
Una lezione particolare, di Francesco De Luca

Francesco Deluca (meditazione)

Inizia la pratica del KARATE nel 1976 a Milano con il Maestro Carlo Fugazza. Prosegue nello studio con lui e con il Maestro Shirai dal 1979 fino ad arrivare alla qualifica di Maestro 6° DAN.

Inizia la pratica dello YOGA nel 1982 approfondendo con le scuole della GFU fino al 2006. Insegnante di yoga. Entra in contatto e collaborazione con molteplici gruppi che arricchiscono il percorso realizzato.Tiene molteplici conferenze e studi in varie città d'Italia e d'Europa.

Sintetizza un metodo in cui la MEDITAZIONE è un ponte tra la vita materiale e la vita spirituale

Ecco cosa mi ha scritto per sintetizzare una lezione di karate da lui recentemente diretta:

" I punti toccati nella lezione di venerdi sono stati:

Nei fondamentali, l'attenzione mentale su hikite, come elemento per sentire al meglio la rotazione delle anche, e l'effetto a spirale che si produce di conseguenza sull'energia.

Ddei fondamentali si può dire che permettono in misura percentuale maggiore di conoscersi, di conoscere come è la qualità della pratica nel momento presente.

Per il kumite dall'attenzione mentale in un punto siamo passati alla presenza mentale, la capacità di restare nel centro dell'azione.

Del kumite si può dire che la base di partenza sia accettarsi."

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4 aprile 2016 1 04 /04 /aprile /2016 15:26
Esercizi di zen metropolitano: i pericoli dell'ubbidienza

Il celebre esperimento di Stanley Milgram (1961), condotto alla Stanford University poco dopo la fine della guerra e la scoperta dei campi di sterminio naisti, dimostra che non serve essere dei pazzi sadici per eseguire degli ordini malvagi. La maggior parte degli esseri umani, di fronte a un'autorità che impartisce loro ordini ingiusti, arriva al punto di infliggere scosse elettriche a un proprio simile. Una replica meno cruenta di questo esperimento, fatta in un'aula scolastica, non darebbe risultati molto diversi: gli studenti non reagiscono, se non con blande e isolate proteste, al comportamento dispotiuco di un insegnante che aggredisce verbalmente un loro compagno. E' la banalità del male, come scriveva Annah Arendt commentando il processo ad Adolf Eichmann, il principale responsabile della deportazione degli ebrei d'Europa, un ometto insignificante nella vita di tutti i giorni.

Forse avete già capito il nesso con i nostri esercizi di zen metropolitano: l'obbedienza alle autorità è un potentissimo navigatore satellitare che viene impiantato nella nostra psiche nel momento in cui ci scontriamo con la prima incarnazione del potere, di solito nostro padre, e viene via via rafforzato dalla scuola, dalla chiesa, dagli amici che frequentiamo, dai mass media. Viene a costituire quello che Freud chiama il nostro Super Io, produttore inesauribile di sensi di colpa.

E' un meccanismo essenziale per la sopravvivenza della società e ci salvaguarda dal finire i nostri giorni prematuramente o in prigione. Ma ai fini della nostra crescita interiore occorre che anche noi, come già Immanuel Kant, sottoponiamo a vaglio critico le sue pretese e ci chiediamo: fino a che punto queste costrizioni e restrizioni sono da me condivise? Chi rispetto veramente e chi fingo di rispettare, per convenienza od opportunismo? Faccio questo perché devo o perché voglio? E se devo, perché devo? Per quali principi o fini che siano veramente i miei?

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2 aprile 2016 6 02 /04 /aprile /2016 18:55
Esercizi di zen metropolitano 5: rammendare il karategi

Rammendo e…Zen, di Aikido Club La Spezia

La via del Samurai è una strada molto lunga, così, come è giusto che sia, capita che tutto il necessaire risulti giustamente vissuto e richieda ogni tanto un po’ di ago e filo.
Questa necessità, unita ad una delle massime del nostro buon M°Giorgio, mi ha portato ad una riflessione che ho proprio il piacere di esternare con voi.

In Aikido, forse attualmente più che in altre arti marziali, la pratica della ricerca della perfezioni in ogni piccolo gesto, diviene centro su cui permeare la vita sul tatami così come quella che il destino ci ha assegnato, fuori dal Dojo.

La ricerca della perfezione difficilmente può essere raggiunta se non alimentata quotidianamente.

Come mi diceva personalmente il M°Tada allo stage Internazionale di quest’anno, la pratica individuale quotidiana dell’Aikido – inteso nella sua pienezza di significato nella vita – ti proietta verso la perfezione, l’unione, la non mente durante l’esecuzione: obiettivo per una vera crescita personale e spirituale.

Cosa si intende allora per la ricerca della perfezione in ogni minimo gesto?

Chiunque abbia provato ad applicare l’Aikido nella vita quotidiana – e non sto parlando degli innumerevoli sankyo o nikkyo dispensati per chetare l’animo dell’amico dispettoso di turno – sa che non è per niente un argomento di facile applicazione.

Viviamo ahimè in una società caotica, confusionaria, frenetica che impone ritmi di sopravvivenza costipati e “violenti”, privandoci spesso del tempo per fermarsi, tirare il fiato e meditare.

Ci si trova così, spesse volte, a perdere il senso di quello che stiamo facendo; il famigerrimo “chi diavolo me lo fa fare?” ci coglie spesso nella frustrazione dell’attesa forzata del traffico, eppure, proprio nelle circostanze più insperate, come ci insegnano i grandi poeti Haiku, si può cogliere qualcosa di totalmente differente, una frazione di secondo ed ecco una sensazione che ci riporta un frammento di serenità.

È così che nasce l’haiku, la scrittura immediata e senza mente di un flash che ci coglie, non dissimile se vogliamo al caotico stream of consciousness che in questo momento sta guidando questo articolo

Ebbene, per arrivare allo stato di non mente, l’Aikido, ci insegna alcuni semplici trucchi del mestiere che, inconsciamente, giorno dopo giorno, si radicano nella nostra mente con la forza della ripetitività.

Kokyu e Anjo-Waza sono solo alcuni esempi per raggiungere quella quiete della mente e del corpo necessaria per la ricerca del nostro Io, in modo non dissimile, gesti ripetitivi, come il far passare l’ago più volte lungo il tragitto da seguire – e qui arriviamo al punto – porta la nostra mente a non poter vagare liberamente (ci si punge se ci si distrae) e quindi a non fissarsi su di un pensiero specifico; lo sguardo si concentra sul movimento ipnotico, tutto trascende ed intorno a noi nulla esiste mentre dentro di noi nulla si ferma, questo è quello che possiamo chiamare:

Ki No Nagare

Il fluire delle cose, nobile arte che se padroneggiata ci porterà ad essere persone migliori e a cogliere molte più cose belle in ogni singolo giorno, poiché bisogna esser consci anche del fatto che:

una giornata non è di soli momenti belli o di soli momenti brutti, vorrebbe dire che non sarebbe in equilibrio se così fosse; la vita è sempre in equilibrio, così, in ogni giorno, i momenti belli saranno in equilibrio con quelli brutti.

questo detto va di pari passo con il proverbio giapponese

一日一生 Ichi nichi isshou – Un giorno, una vita

Un praticante di Aikido, nel rammendare il proprio kimono o la propria cintura, non deve scordare che l’ago e il filo sono metafore del proprio Dojo.

Il maestro è l’ago, e gli allievi sono il filo, che cos’è l’ago senza il filo? Può forse il filo cucire senza che l’ago tracci la via?

Questo ci viene sempre rammentato dal nostro maestro Giorgio, l’impegno alla coesione e la responsabilità di ciascuno nei confronti dell’altro, vero nel Dojo, indispensabile nella vita.

Buona meditazione!

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2 aprile 2016 6 02 /04 /aprile /2016 15:39
Esercizi di zen metropolitano 4: today is today, tomorrow is tomorrow

Pratico karate da quasi mezzo secolo e lo insegno da oltre quarant'anni. Ricordo benissimo le parole del Maestro Taiji Kase, giovane kamikaze che stava per partire per la sua missione suicida quando la guerra terminò. Per spiegarci il nesso tra arti marziali e zen era solito dirci nel suo inglese essenziale: "Today is today, tomorrow is tomorrow". Naturalmente intendeva dire che un samurai (e il maestro Kase, come anche Enoeda, sicuramente lo era) sa che la sua vita è appesa a un filo e nonostate questo, o forse proprio per questo, quando cena con gli amici la sera prima dell'ultimo volo, è capace di assaporare ogni istante di quella lieta occasione conviviale. Così dovrebbe essere nella pratica delle arti marziali: ci si dovrebbe concentrare sul qui e sull'adesso, dimenticare la stanchezza e i problemi personali in modo da percepire bene se stessi, l'avversario e l'ambiente circostante.

In altre parole, i miei esercizi di zen quotidiano sarebbero dovuti cominciare in palestra, invece tutto è partito in un modo molto diverso, che vi racconterò forse in una prossima puntata. Quello che posso anticipare è che, una volta innescato il meccanismo dell'attenzione e quello della concentrazione (che non sono esattamente la stessa cosa: è la differenza tra guardare un film interessante e imparare a guidare una motocicletta), mi è stato semplice applicarlo alla pratica e all'insegnamento del karate. Come praticante, ho diminuito drasticamente i momenti di disattenzione e spento il "navigatore satellitare" che accendevo ogni volta che eseguivo un esercizio a me noto, col rischio di sbagliarlo. A questo fine è stata fondamentale la scelta dei maestri Shirai e Fugazza di variare continuamente gli esercizi proposti per evitare di fossilizzarci su schemi stranoti. Inizialmente cambiare sempre genera disorientamento e confusione, ma se e quando la nebbia si dirada si sviluppa una certa elasticità mentale, che a 50 o 60 anni non guasta.

Come insegnante, ho corretto almeno in parte la mia pigrizia e ho cominciato a cercare e a vedere anche nei miei allievi migliori errori e imperfezioni che prima non notavo, forse perché spesso ero io stesso a trasmetterglieli. In conclusione, invece di partire da "Lo zen e il karate"come suggeriva il titolo del famoso libro del maestro Tokitsu (mentre si parlava di tutt'altro) ci sono arrivato partendo da un approccio molto più moderno e occidentale. Quale, ve lo spiegherò nel prossimo post.

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1 aprile 2016 5 01 /04 /aprile /2016 20:20
Esercizi di zen metropolitano 3: la finestra rotta

Quando insegnavo criminalogia in una piccola scuola britannica di Milano, una delle teorie che più affascinava i miei allievi era quella della broken window, letteralmente "finestra rotta". Questa teoria postula che, se in un quartiere va in frantumi il vetro della finestra di un palazzo e nessuno lo sostituisce o in qualche modo lo ripara, a poco a poco i vetri rotti si moltiplicheranno, e la casa e poi l'intero quartiere cadranno in decadenza e si deprezzeranno sul mercato immobiliare.

Al di là del significato letterale di questa teoria, peraltro verissima (basti vedere l'abbandono di zone periferiche come via Padova o la Barona o Baggio e confrontarlo con la cura estrema con cui viene custodito e mantenuto il quadrilatero della moda), essa trova applicazione in tutti i campi dell'esistenza di ed è uno dei pilastri del mio zen metropolitano.

Prendiamo ad esempio la cura della propria persona. Ognuno di noi ha un'idea diversa di se stesso e di conseguenza dovrebbe in teoria avere uno stile personale nel vestirsi, pettinarsi, farsi crescere o meno capelli e barba, e via dicendo. Personalmente ho deciso che il mio aspetto esteriore è l'ultima delle mie priorità e non vale né il mio tempo né il mio denaro.

Questo va benissimo fino a che si tratta di una scelta consapevole, come i capelli arancioni o i jeans strappati o la minigonna o il completo giacca-cravatta. Il nostro edificio sarà poco invitante e ancor meno lussuoso, ma in fondo è casa nostra, e tutti i vetri alle finestre, sporchi o puliti che siano, sono ancora intatti. Va molto meno bene quando indossiamo per quattro giorni la stessa maglietta per incuria, o i piatti sporchi si accumulano nel lavandino perché ce ne dimentichiamo, o buttiamo gli avanzi del cibo nella raccolta indifferenziata per apatia, e non per far dispetto alla portinaia antipatica.

E' qui che va in frantumi il primo vetro, e se non corriamo ai ripari la nostra casa e la nostra esistenza si trasformeranno in un caos indifferenziato. Questo renderà problematica la nostra vita lavorativa e ancor più problematica la nostra vita sociale e affettiva. Non a caso si trovano in queste condizioni le abitazioni dei malati di mente, dei tossicodipendenti e dei grandi depressi. Sono persone che hanno perso totalmente il controllo della propria vita, si sono affidati a un navigatore mal funzionante il cui software non è mai stato aggiornato.

Si dirà: ma la dipendenza, la schizofrenia e la depressione sono stati patologici, impossibile convincere un pazzo, un drogato o un aspirante suicida a rimettere in ordine la propria casa. E' verissimo: ma dopo l'inevitabile cura farmacologica, per evitare ricadute serve proprio riprendere il controllo della propria vita, cominciando non dai grandi proponimenti di capodanno o dall'ultima sigaretta di Zeno, ma dalle piccole cose: ad esempio lavare i piatti ogni volta che si mangia e pulire casa ogni quindici giorni oppure ogni settimana. E' incredibile e gratificante il senso di sollievo che si prova ritornando poco alla volta alla normalità, e la prima volta che potrete invitare a cena un amico senza vergognarvi di voi stesso sarete sulla via della guarigione.

Anche questo è zen quotidiano: mangiare pensando al cibo e lavare i piatti come se steste dipingendo un quadro...

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1 aprile 2016 5 01 /04 /aprile /2016 09:25
Esercizi di zen metropolitano 2: un errore divertente

A tre settimane dall'inizio della sperimentazione sull'attenzione e sui suoi effetti sulla mia vita quotidiana, posso dichiararmi soddisfatto. Nonostante occasionali cadute credo inevitabili, è migliorata la qualità della mia relazione con me stesso, con gli altri e con l'ambiente. Ho messo un po' d'ordine nelle mie priorità, nelle mie scelte quotidiane e perfino in casa mia. La domanda: "Cosa è davvero importante per me in questo momento?" è stata spesso al centro della mia riflessione e forse per questo sono passate tre settimane dalla mia "illuminazione" (non certo in senso mistico: non ho trovato il divino né in me né fuori di me, ma piuttosto ho esplorato nuove possibilità dell'umano) senza che trovassi il tempo per aggiornarvi su questa mia svolta.

Stamattina però è successo un fatto divertente che voglio raccontarvi brevemente, proprio perché descrive una breve "caduta" dell'attenzione, con effetti fortunatamente del tutto innocui, simili a quelli descritti da uno dei miei maestri, Sigmund Freud, nella sua Psicopatologia della vita quotidiana, un libro fondamentale per chi volesse incamminarsi con me sulla strada dello Zen metropolitano.

Dunque, è venerdì mattina, mio giorno libero e giorno di mercato a Porta Romana. Mi sveglio per tempo ed esco di casa determinato a far colazione al bar (mio figlio dorme in sala) e ad acquistare tutto ciò che mi serve per la giornata e forse per il weekend, evitando la fastidiosa puntata al supermercato. Non uso la lista della spesa, anzitutto perché è appesa nella stanza dove appunto dorme mio figlio, e poi perché sono convinto di aver proceduto a sufficienza nella "via" e di non averne bisogno. Prendo lo scooter, perché devo fare un po' di strada ed è giorno di mercato, e voglio vedere come riesco a cavarmela elegantemente nel traffico locale.

La prima tappa è alla banca: parcheggio in modo tale da non dover fare inversione a U al ritorno, prelevo 40 euro ma non lo scontrino, che non è disponibile. Risalgo in scooter, descrivo un ampio giro, ripasso dalla strada dove abito e parcheggio davanti alla farmacia, tra ponteggi, strisce pedonabili e pista ciclabile, sperando di non dar fastidio a nessuno e lasciando addirittura il casco sul sellin,o per dimostrare che intendo levar subito l'incomodo. Attraverso piazza Buozzi, compro Repubblica col suo inserto, e a piedi mi incammino verso il bar. Strada facendo osservo le bancarelle, ma do la precedenza alla colazione. Cambio 20 euro e Baffo mi informa che posso trovare le bibite in un negozietto pakistano poco lontano. Gongolante per quello che mi appare il successo completo della spedizione, compro le bibite senza risparmiare nulla se non la seccatura dell'Esselunga. Sulla via del ritorno finalmente acquisto la frutta, stavolta sì a un prezzo di cioncorrenza. Attirato da altre bancarelle, che però vendono pesce e non le stringhe che mi servirebbero, per tornare a casa devio dalla traiettoria dell'andata completando gli altri due lati del quadrilatero e arrivo trionfante sul portone di via Adige 15, con i due sacchetti della spesa ben bilanciati alle mie robuste e indolenzite braccia.

Solo a questo punto mi accorgo che sono partito in moto e sono tornato a piedi!

Naturalmente tutti voi ora sapete che il mio scooter è (almeno si spera) tuttora parcheggiato davanti alla farmacia, col casco bene in vista sul sellino. Cosa è successo? Che la mia attenzione, spostandosi rapidamente da un punto all'altro, ha perso di vista la schermata "Home" che il più economico dei navigatori satellitari mi avrebbe invece mostrato fino alla meta. Nessun danno, anzi due risate, ma una lezione importante per i distratti come me. Alla prossima!

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