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8 febbraio 2018 4 08 /02 /febbraio /2018 13:45
LA PARRUCCHIERA
Il mio fallimento più grave ad Albese è stato il mio abortito tentativo di farmi tagliare i capelli. La cura della persona era considerato un indicatore significativo della salute mentale, perciò io, che ci tenevo a ben figurare in vista di un pronto ritorno alla libertà, dopo essermi sbarazzato "in autonomia" della barba, decisi di farmi accorciare anche i capelli che, lunghi e disordinati com'erano, mi conferivano l'aspetto di un profeta dei paradisi psichedelici, una specie di Ginsberg agli ultimi stadi della confusione.
Mi informai e seppi che la parrucchiera di Albese veniva una volta alla settimana, di lunedì, per soddisfare le esigenze dei malati e delle malate di San Benedetto. Mi registrai presso la "medicheria" (?) al primo piano e attesi fiducioso le 14,30 del giorno fatidico, ora in cui, ad arbitrio esclusivo della parrucchiera, sarebbe stato pubblicato e appeso in bacheca l'orario delle sue prestazioni professionali della giornata. Quando ciò accadde (in ritardo di una buona mezz'ora) appresi con grande delusione che, in ossequio all'adagio britannico "ladies first", nonostante mi fossi segnato per primo, sarei andato "sotto i ferri" per penultimo, alle ore 17.
Con largo anticipo mi presentai nel locale adibito a salone di bellezza in fondo al corridoio del pianterreno, un piano solitamente off limits per noi poveri picchiatelli, in cui erano ospitati malati sofferenti di patologie ancora più gravi, solitamente in carrozzella. La sala era angusta, ci entravano a stento due sedie da parrucchiere, mentre altre clienti sostavano in corridoio col capo sovrastato da un casco. Il tutto mi dava un'impressione di sporcizia e squallore, confermata dal camice macchiato e dall'espressione arcigna della vecchia megera che dirigeva la baracca, assistita dalla figlia. Le chiesi informazioni e con mala grazia mi disse che c'era un lieve ritardo, e di aspettare seduto perché ingombravo il passagio.
"Allor mi volsi come l'uom cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda" (Dante) e vidi la grande vetrata del salone gremito di carrozzelle con occupanti in gran parte in stato di incoscienza, anche se i vivaci e consapevoli erano mescolati con loro. Metà di loro guardava dalla parte del giardino, l'altra metà era attratta dallo spettacolo spassoso della messa in piega di vegliarde loro conoscenti.
Ero molto a disagio, osservato da quegli occhi che non sapevo se mi vedessero o no, e ripensavo a quel capitolo dello Straniero in cui Meursault veglia il cadavere della madre sotto lo sguardo severo dei vecchi dell'ospizio. Attesi un'altra mezz'ora ma quando si avvicinò l'ora di cena me ne andai, cedendo il mio posto a Vittorio che, ironia della sorte, fu servito quasi subito e tornò nel seminterrato col pelo rarefatto ma ordinato.
Dopo quel fallimento non ci provai mai più e attesi il giorno della Liberazione (che d'ora in poi festeggerò il 5 gennaio e non il 25 aprile) per andarmene da Albese e affidare la mia chioma al solito parrucchiere, che ha più o meno l'età di quei malati, ma la mente e il corpo vispi cone un quarantenne.Noin per niente è anche il parrucchiere del maestro Shirai!
La parrucchiera di Albese
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commenti

P
Si è vero, la scelta del parrucchiere giusto è fondamentale soprattutto quando hai un evento e vuoi essere impeccabile :-) Io a Roma vado ormai da anni da New Image in zona Eur, mi trovo veramente bene.
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