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30 ottobre 2015 5 30 /10 /ottobre /2015 11:33

Antonia Pozzi (Milano, 1912-1938), figlia di un importante avvocato milanese, scrisse le prime poesie ancora adolescente. Studiò nel liceo classico Manzoni di Milano, dove visse col suo professore di latino e greco una storia d'amore che, a causa dell'ostilità della famiglia, dovette interrompere e fu la causa principale del suo suicidio nei prati di Chiaravalle, a soli ventisei anni.La grande italianista Maria Corti disse che “il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crapacci, sull'orlo degli abissi. (…) La terra lombarda amatissima,la natura di piante e fiumi la consolava certo più dei suoi simili”. La poesia di Antonia Pozzi inizialmente si ispira al crepuscolarismo nella scelta della semplicitàe nella prossimità al linguaggio parlato. Più tardi le sue parole, seguendo la lezione dell'ermetismo, divennero “asciutte e dure come I sassi”, come le descrisse Montale.

 

Ti ricordi, mio piccolo amore,
(un giorno avevo pensato
di chiamarti Tristano:
così triste la tua anima remota.
Ma poi quella maiuscola iniziale
mi parve troppo pesante
per la mia tenerezza
ed ora tento quest'altro nome,
più dimesso, più lieve:
piccolo amore)
di', ti rammenti,
mio piccolo amore,
l'ultimo tramonto dell'inverno,
l'ultimo nostro colloquio
sul sedile di pietra rosa
di fronte ai muri rossi del Castello?
Quanti colombi! E tu mi sussurravi
che le ali loro grigioazzurre
assomigliavano ai miei occhi
un poco.
Sul fondo erboso del fossato
le margheritine
trattenevano l'ultima
chiarità stanca del sole.
E tu volevi
coglierle tutte per me,
con le tue dita d'uomo
incerte tra gli steli
come dita di bimbo:
e m'empivi d'erba e di corolle le mani,
dicendomi che l'anima mia di fiore
era fiorita
per tutti i prati
di tutti i paesi,
dicendomi che tutta l'anima
della primavera non giunta
tremava nel mio respiro.
Piccolo amore, piccolo amore ti rammenti?
Guardavamo le grandi nuvole accese
scivolare mute
dietro i rami nudi degli ippocastani.
Dicevamo: domani sarà vento.
Tu mi narravi, sommessamente,
in tono di lunga fiaba,
dell'ultima tua notte
passata nella casa della sorella,
in riva al lago.
"Mi destai. C'era tanto silenzio.
I bambini dormivano nella stanza vicina.
Ed io pensavo, pensavo: mi dicevo
che accanto a te sono un bambino anch'io,
un bocciolo profumato di te".
Piccolo amore, piccolo amore, ti rammenti
Moriva il bruciore del sole
di là dagli alberi
in un grande arco d'oro,
in un grande arco bianco
sul nostro capo.
E impallidiva la mia tristezza,
si spegneva il tuo affanno
nella semplicità
delle parole candide.
Tutto che fu menzogna,
tutto che fu dubbio e dolore
si sfaceva
e rimaneva solo
alla più pura anima
un tremore di piccole cose:
ali d'uccello, sentore di vento,
nomi di fiori, sonno di bambini...
Così come dilegua,
al calar dell'ombra,
l'ingannevole luce del giorno
e lo splendore del cielo
si acuisce
in un tremore di piccole cose
che si chiamano stelle.

Pasturo, 2 aprile 1931

 

COMMENTO Come si intende già dal titolo, questa poesia, con un linguaggio tenero e colloquiale adatto ad una conversazione intima, rievoca un recente incontro, forse l’ultimo, tra la poetessa e l’innamorato, avvenuto verso la fine dell’inverno nel Parco Sempione di Milano, vicino al Castello Sforzesco. La poesia rappresenta un paesaggio romantico, caratterizzato dal volo dei colombi (uccelli tradizionalmente associati all’amore fin dai tempi di Dante), dal sole al tramonto in un prato fiorito di “margheritine” che l’amato vorrebbe cogliere per donarle alla poetessa. Il parallelismo tra la sfera della natura e quella dei sentimenti è enfatizzato dall’analogia finale (vv.60-78): come le stele aumentano lo splendore del cielo quando svanisce “l’ingannevole luce del giorno”, così la semplicità e la purezza delle parole dei due innamorati fanno dileguare tristezza, affanno, menzogna, dubbio e dolore: è una probabile allusione agli ostacoli opposti dalla famiglia della Pozzi alla relazione, che portarono infine alla separazione. Le parole chiave della poesia (“piccolo amore” “ti ricordi”, I diminutivi)suggeriscono una regressione all’ingenuità dell’infanzia: l’amato racconta una “lunga fiaba” ad Antonia, dicendo che accanto a lei si sente “un bambino” e vuole cogliere per lei le “margheritine” con dita incerte “come dita di bimbo”. In tal modo l’io lirico cerca di cancellare la significativa differenze di età tra I due innamorati.

 
Colloquio, di Antonia Pozzi
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