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22 gennaio 2011 6 22 /01 /gennaio /2011 19:38

bebelplatz.jpg

 

Un assessore della Regione Veneto ha proposto di bandire dalle biblioteche e dalle scuole del Veneto i libri degli autori che a suo tempo avevano firmato un appello contro l'estradizione in Italia di Cesare Battisti, l'ex-militante dei Proletari Armati per il Comunismo condannato in contumacia dalla magistratura italiana.

In questa lista di autore sgraditi compaiono tragli altri il romanziere francese Pennace il giallista Massimo Carlotto (a sua volta in passato militante di un gruppo coinvolto nella lotta armata negli "anni di piombo"). Ma la vittima più celebre di questo ostracismo culturale è Roberto Saviano, autore di "Gomorra" e protagonista della scena politico-letteraria di questi ultimi mesi. Saviano in realtà si era "pentito" pubblicamente di aver firmato a suo tempo l'appello pro-Battisti, ma la memoria della Liga Veneta è lunga e non l'ha perdonato.

Che dire? La proposta dell'assessore ha precedenti illustri: dall'Index Librorum Prohibitorum, con cui il Santo Uffizio metteva al bando le opere giudicate eretiche o immorali (tra le quali, oltre al Manifesto di Marx, Lady Chatterley'sLover di Lawrence e L'interpretazione dei sogni) di Freud) al rogo dei libri di autori "giudei" promosso da Goebbels il 10 maggio 1933 a Berlino in Bebelplatz (vedi immagine qui sopra). Bandire le opere di un autore perché si dissente da una sua (legittima quanto discutibile) opinione è un chiaro segno che da più parti si vuole andare verso l'opinione unica e cancellare ogni dubbio.

Eppure, come diceva Sant'Agostino, "dubito, ergo sum".

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18 gennaio 2011 2 18 /01 /gennaio /2011 17:19

Silvio Berlusconi ha una "compagna" (ovviamente non in senso politica) e quindi, ovviamente, tutte le illazioni sulle sue frequentazioni di minorenni sono calunnie dei magistrati e della sinistra illiberale. Tutti d'accordo, naturalmente. Solo una timida obiezione: non poteva dirlo prima? E' chiaro che questa notizia spazza via ogni fango mediatico su Noemi Letizia, la D'Addario, Ruby, le ministre, la Sardegna, Arcore, ma non solo! Cadono anche le accuse di collusione con la mafia, di evasione fiscale, di stragismo, di appartenenza alla P2 e perfino di conflitto di interesse. Chi ha un'amica si comporta bene, che diamine! Soprattutto a 75 anni e con amici come Emilio Fede che sanno sempre consigliarlo per il meglio.

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16 gennaio 2011 7 16 /01 /gennaio /2011 16:07

In riferimento al post "L'autogol federale" di Giovanna Citrelli, ospitato su questo blog, ho chiesto e ottenuto spiegazioni dal vice-presidente della Fikta, Giuseppe Perlati. Ecco in sintesi la sua risposta:

"L'esclusione dalla Federazione di Assunta Cabiddu, Gianmario Di Emidio, e di altri bravi atleti come i miei due vecchi allievi Ghedini e Sedioli, è una dolorosa ma inevitabile conseguenza della loro decisione di continuare a svolgere attività con la Jka Italia nel 2011, quando il Consiglio Federale già dal giugno scorso aveva chiarito che era necessaria una scelta netta. Sono sempre pronto a sedermi ad un tavolo con gli esponenti Jka Italia per stipulare una convenzione che limiti questi inconvenienti e tuteli atleti e tecnici come quelli in questione".

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16 gennaio 2011 7 16 /01 /gennaio /2011 15:43

Il massiccio voto a favore degli impiegati assicura la vittoria su misura del "sì" al referendum della Fiat sul nuovo contratto di lavoro. Una "consultazione democratica" che suscita perplessità su almeno tre fronti:

  • Gli impiegati, toccati solo marginalmente dall'inasprimento delle condizioni di lavoro, decidono le sorti degli addetti alla catena di montaggio.
  • Sorprende favorevolmente la percentuale dei "no", visto che, in caso di sconfitta, Marchionne aveva preannunciato il trasferimento della produzione all'estero.
  • Delude non tanto l'atteggiamento dei sindacati "gialli" (Uil, Cisl, Ugl) filogovernativi, quanto quello ambiguo della Cgil di Camusso e del Partito Democratico.

Quando si cercano le cause della violenza che torna ad esplodere nelle piazze, non è necessario pensare a infiltrati e agenti provocatori: basta comprendere la frustrazione e la disperazione di operai, precari, disoccupati, insegnanti e giovani che vedono allontanarsi la speranza di una vita normale e dignitosa.

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16 gennaio 2011 7 16 /01 /gennaio /2011 15:21

letterarepubblica

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14 gennaio 2011 5 14 /01 /gennaio /2011 20:31

di Giovanna Citrelli

 

Lo scorso martedì mi sono recata presso il Dojo del M°Shirai per seguire la lezione che io seguo dal lontano 1989, anno in cui la mia società entrò nella Fikta, fondata nel 1988 dopo la fuoriuscita del Maestro dalla Fikteda, la federazione del Coni, nella quale il gruppo del M°Shirai di cui noi facevamo parte, confluì nel 1979 per poi appunto separarsi di nuovo. Mi ricordo benissimo che il mio insegnante, il M° Roedner, scrisse una lettera in cui giustificò la sua permanenza ancora nella Fikteda perché due sue allieve (la sottoscritta campionessa europea di kata a squadre e capitana della squadra di Kumite femminile e R.Ghidotti, vice campionessa mondiale di kumite individuale ed europea a squadre) erano nella squadra nazionale di kumite.
Ricordo questo aneddoto perché mi sembra significativo nel passaggio successivo.

Lo scorso anno abbiamo ricevuto dalla federazione una lettera ed in seguito anche sul giornale della Fikta abbiamo assistito ad una diatriba relativa alla adesione delle società anche all'attività Jka, che è rappresentata in Italia dal M° Naito. La scelta perciò di separarsi da coloro che sceglieranno quel tipo di circuito internazionale, secondo me, non farà altro che creare  perdita di interesse per la nostra disciplina e rimpicciolire ulteriormente una federazione che negli ultimi anni ha perso già troppe palestre e diversi bravi tecnici. Ma la cosa peggiore è stato il modo con cui ciò è avvenuto, soprattutto una mancanza di "stile" nei confronti di persone che hanno dato tanto in questi anni alla Federazione in termini di impegno assiduo e di diffusione della nostra disciplina. Nello specifico mi riferisco all'allontanamento di Assunta Cabiddu e Gianmario Di Emidio, entrambi 6°Dan. La prima è stata  per me negli anni dell'agonismo la prima compagna di squadra e amica, il secondo negli anni successivi un “fratello” leale e sincero, un uomo generoso che ha sempre aiutato chi era in difficoltà, secondo lo spirito del vero karate “Jitakyoei". Bene, sono stati trattati come se 35 anni non rappresentassero nulla. Non condivido questo, come non ho condiviso il modo con cui sono stati esclusi dalla Nazionale i due agonisti Stefano De Bartolomeo e Ilaria Rigoldi. Abbiamo appreso così che anche “da noi” si trattano gli atleti come in molti sport: finché fai comodo alla federazione va bene, ma poi quando non servi più vieni messo da parte, a meno che non ti schieri con il gruppo che in quel momento “va per la maggiore”.
Ho condiviso quello che ha scritto Sergio Roedner a proposito delle gare, dei regolamenti e avevo visto con piacere la possibilità di un ritorno al sistema JKA (quello che era in uso quando si gareggiava ai miei tempi), anche in Italia, grazie appunto ai contatti del M° Naito. Poteva essere un'altra opportunità di crescita tecnica e di confronto, soprattutto per le società che hanno agonisti di rilievo.
Invece è stata fatta una scelta diversa e quindi anch’io ho fatto come Sergio e per quest’anno mi sono tesserata  per la Fikta, solo ed unicamente perché sono allieva del M° Shirai da quel dì.
Avremmo preferito che la federazione ci avesse interpellato: una scelta del genere, se si è in democrazia, andava sottoposta a voti dei tecnici, almeno di quelli che, come me e tanti maestri/e,  praticano da più di 35 anni.
Grazie dello spazio concessomi.

Giovanna Citrelli

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2 gennaio 2011 7 02 /01 /gennaio /2011 21:28

Dal Blog di Carlo Bertani.

 

Se mi accusassero di avere rubato la Torre di Pisa, mi darei alla latitanza.”
Piero Calamandrei

Non si comprende bene chi stia giocando e, soprattutto, cosa si stia giocando sulla vita di Cesare Battisti, perché di segnali contradditori ce ne sono molti. Anzi, troppi.
Nella vulgata imperante Battisti è considerato colpevole (poiché condannato con sentenze passate in giudicato) per ben quattro omicidi ma, se si va un poco a spulciare quelle vicende giudiziarie, subito salta agli occhi che si trattò di processi indiziari nei quali la parola definitiva – la vera “giuria” – fu quella dei cosiddetti “pentiti”.

Prima di passare all’analisi, invito a leggere la ricostruzione presente su Carmilla on line – collegamento in nota[1] – per capire come la vicenda processuale di Battisti – vista dall’estero, dalla Francia al Brasile – puzzi di bruciato al punto da non concedere l’estradizione.

Per contrappasso, potrete leggere le “parallele” vicende di Marco Barbone[2] e di Delfo Zorzi[3], che ci aiutano a capire come la logica giuridica di quegli anni fu un pudding fra i classici “due pesi e due misure”, amicizie influenti, interessi di bottega e servizi segreti a gogò, più il classico “caso”, che attiene a fortune e sfortune personali.
Se ancora non basta, ricordiamo che Piazza Fontana e Piazza della Loggia, Ustica ed il Moby Prince, Giuseppe Pinelli e Carlo Giuliani (e tanti altri) ancora aspettano che qualcuno racconti cosa veramente successe. Per contrappasso, gli “assassini del Circeo” ebbero vita facile con ridicole evasioni e quant’altro, al punto che uno di essi riuscì addirittura a farsi assegnare un lavoro fuori del carcere, cosicché riuscì ad uccidere altre due donne, madre e figlia.
In anni più vicini a noi, tutti si fecero un baffo della vicenda del Cermis, laddove i colpevoli – che potevano essere trattenuti e processati in Italia – furono estradati negli USA, dove ricevettero il solito rimbrotto e basta.

Questo Paese, dove non s’affronta mai nulla, cade nell’ennesima buca quando deve analizzare le metodologie attuate nella fase investigativa, che sono carenti a dir poco: tutto inizia e finisce sempre con qualcuno che “canta”. Se, poi, cantava una canzone stonata, falsa, bugiarda…per convenienza, ricatto, denaro…poco importa. Tutto deve essere pronto per il processo, affinché possa essere scritta una sentenza che acquieti i parenti delle vittime e, parallelamente, non disgusti troppo gli avvocati della difesa. Altrimenti, questi, come campano?

Il fenomeno del “pentitismo” è stato un vulnus giuridico che ha causato ancor più danni del male che doveva curare: basti pensare alle “intromissioni” nei processi di falsi pentiti da parte delle mafie, per continuare nelle aule giudiziarie le faide con le opposte fazioni.
Il danno più grave, però, è di natura “strutturale” nel Diritto: senza scomodare Cesare Beccaria, i “delitti e le pene” non hanno più correlazione, poiché lo sconto di pena garantito al “pentito” inficia tutto. Si finisce così con un “pentito” assassino che si fa tre anni di carcere, ed un non-pentito od un dissociato che se ne fa venti senza aver ammazzato nessuno.

Durante il sequestro Moro, la partita in gioco era il riconoscimento delle BR come “attore politico” sulla scena italiana: Moro sarebbe stato liberato con la semplice scarcerazione di una terrorista gravemente malata. Lo Stato decise di non cedere – posizione di DC e PCI – mentre il Partito Socialista era per la trattativa.
Il timore di riconoscere nelle BR un soggetto politico ebbe il sopravvento ma, la scelta del “pentitismo”, fu meno grave?

La delazione è uno degli strumenti principali della guerra: per soldi o per sesso, per amore o per ideologia, la cosa importante è sapere cosa farà il nemico.
Per questa ragione, si passa spesso oltre le responsabilità personali dei “traditori”: basti pensare a quanti ex nazisti passarono direttamente nelle file dei servizi occidentali in funzione antisovietica, oppure concordarono la ritirata con i sovietici a guerra ancora in corso o, ancora, preferirono vendere ponti e strade agli Alleati piuttosto che difenderli. Stupirà sapere che le fucilazioni degli ufficiali, durante la ritirata dalla Francia, erano all’ordine del giorno nella Wehrmacht.
Cosa c’entra tutto ciò con Battisti?

Se si ammette che la delazione sia valido strumento anche nell’attività investigativa, s’assegna la qualifica di “nemico” anche a chi si ribella, seppur con le armi: ricordiamo che, per la Legge, un rapinatore non è un “nemico dello Stato”, bensì un criminale da arrestare ed imprigionare non solo per criteri punitivi, bensì di rieducazione. Un concetto un po’ distante dal “nemico”, che viene ucciso oppure catturato per essere scambiato.
In fin dei conti, quel “riconoscimento” negato politicamente alle BR, finì addirittura per qualificarle come una sorta di “nemico”, che è ancor peggio, anche sotto il profilo del riconoscimento politico.
Questa perversa modalità investigativa, cosa produsse?

Che i capi delle organizzazioni terroristiche – spesso colpevoli d’efferati delitti – avevano molti elementi da fornire agli inquirenti: ogni arresto, meno anni da scontare.
La “lista”, però, finisce e termina soprattutto – troppo presto! – per le seconde e le terze linee, che si trovano in situazioni drammatiche: con le solo imputazioni di banda armata e porto d’arma da guerra – ad esempio – già avevano sul groppone circa 18 anni da scontare e, questo, anche se non avevano partecipato ad azioni violente!
Sull’altro versante, chi accusare?

I magistrati ponevano l’aut aut senza condizioni: o parli, o quei 18 anni te li fai tutti.
Nella fase terminale del terrorismo, s’ebbero delle situazioni aberranti con gente – conosciuta personalmente – che scontò 5 anni e mezzo di una condanna a 9 anni per aver bruciato, di notte, la porta di una banca. Per contro, i tre anni di carcere che ha effettivamente scontato Barbone, colui che diede il colpo di grazia a Walter Tobagi.
Tutto dipendeva da quanti nomi riuscivi a fare: persone immediatamente catturate che si trovavano a fare i conti con reati assurdi che (spesso) non avevano commesso, solo accusati da qualcuno per avere lo “sconto”. Quelle vite sfortunate entrarono nel gran supermercato della giustizia (minuscolo) e passarono anni d’ansie e carte bollate: riflettiamo sull’aberrazione massima, quella che condusse in carcere il presentatore televisivo Tortora, forse perché d’altra “tortora” si trattava.

L’ex Presidente Cossiga provò a suggerire alle forze politiche una sorta di “chiusura” di quel periodo, proprio perché si rendeva conto che non fu giustizia, ma vendetta, nella maggior parte delle vicende giunta a casaccio, ma non fu ascoltato. Perché?
Poiché, ancora oggi, personaggi importanti come Gianni Alemanno proteggono ex criminali, assegnano addirittura loro posti pubblici dai quali i “beneficiati” si permettono di sbeffeggiare il movimento degli studenti e gli ebrei. E Marco Barbone? Che oggi fa il giornalista (scrive su “Il Giornale”) ed è Responsabile per la Comunicazione della Compagnia delle Opere (CL)?
Il processo Sofri? Terminato 4-3 (4 condanne, 3 assoluzioni) come Italia-Germania del 1970: si può esser certi di una verità processuale dopo un simile percorso?

Come sempre, nella misera giustizia italiana, non è importante che “il” colpevole paghi, bensì che “qualcuno” paghi: in questo senso, Cesare Battisti – un borderline, criminale comune, non ricco, senza amicizie altolocate – è perfetto per essere sbattuto sulla forca ad uso e consumo dell’opinione pubblica assetata di sangue, la stessa gente ammaestrata a cercare i colpevoli ed a condannarli nei processi televisivi imbastiti dai maggiordomi della politica come Vespa & company.
Non sono dunque le condanne comminate a Battisti ad essere contestate dalla Francia prima e dal Brasile oggi, bensì la giustizia italiana nel suo complesso, incapace di dirimere una causa civile prima dei vent’anni e solo pronta a sparare nel mucchio nei processi penali, tanto per acquietare le statistiche.

La vicenda, poi, s’intreccia con le commesse e le transazioni economiche fra i due Paesi: volendo pensar male, al Brasile fa comodo un’arma come Battisti per spuntare migliori condizioni nel settore della difesa e delle telecomunicazioni, ed al Governo Italiano conviene minimizzare la vicenda, poiché Brasilia potrebbe rivolgersi altrove.
Così come, alla cosiddetta opposizione, può convenire soffiare sul fuoco non per la questione in sé, ma per misere questioni di bagarre interne e di compravendita di “spazi” all’interno della politica “champagne” italiana.

Così, all’apparenza, sembrerebbe una vicenda zeppa di valori “etici” – chi sbaglia paga, ecc… – mentre, in realtà, è una fogna d’interessi contrapposti: c’è solo da sperare che la “soluzione” non sia del tipo Stammheim.
Già che vogliamo incarcerare in Italia Battisti, non sarebbe una buona occasione per aprire gli archivi di Stato e conoscere finalmente i nomi di coloro che cambiarono la nostra Storia a suon di bombe? Esecutori e mandanti?
Già, meglio che Battisti resti in Brasile.

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2 gennaio 2011 7 02 /01 /gennaio /2011 17:50
Col nuovo tesseramento le società che chiedono la riaffiliazione alla Fikta devono dichiarare che nessuno dei loro iscritti parteciperà alle attività della Jka Italia. Questa richiesta ha messo con le spalle al muro tutti gli iscritti (atleti, tecnici e dirigenti) che seguivano contemporaneamente i corsi del Maestro Shirai e del Maestro Naito: in pratica, ha limitato notevolmente le dimenzioni di una possibile scissione. A quanto mi risulta, i primi campionati italiani della Jka Italia hanno visto una partecipazione ridotta e l'associazione stessa è in difficoltà. Ho ricevuto numerosi appelli di maestri e atleti che protestano per la violazione dei loro diritti e mi chiedono di intervenire ma credo di aver già espresso chiaramente la mia opinione. Sono sempre disponibile a dare voce a chi se la sente di esprimere il proprio dissenso ma mi sembra di non avere né l'esclusiva né la delega di alcuno per parlare o scrivere liberamente!
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31 dicembre 2010 5 31 /12 /dicembre /2010 18:12
La petizione L' autore di Gomorra ritira la firma. Ma il verde Cento e lo scrittore Scarpa: «Lo rifaremmo»
Saviano, Pincio e i pentiti dell' appello pro Battisti

La lettera per cancellare il nome

 

MILANO - «No, non sono disposto a scaricarlo soltanto perché è in atto una campagna mediatica contro di lui. È un povero diavolo. Una persona simpatica. E anche se l' appello per la sua liberazione non è più attuale, io sottoscrivo ancora ogni parola». Così Valerio Evangelisti, primo firmatario del testo pubblicato l' 11 febbraio 2004 sul sito online di Carmilla - la rivista di cui è direttore editoriale - per «la liberazione dello scrittore Cesare Battisti» arrestato il giorno prima in Francia, dove era rifugiato da quattordici anni. L' appello fu siglato in meno di una settimana da millecinquecento persone. Scrittori, poeti, registi, banchieri, impiegati, studenti, politici e professori universitari: da Wu Ming a Vauro, da Giorgio Agamben a Giuseppe Genna. Tra loro un ventiquattrenne napoletano, Roberto Saviano. Mercoledì scorso, però, alle 2.26 del mattino, carmillaonline divulga la lettera di quel ragazzo, oggi conosciuto in tutto il mondo come coraggioso autore di Gomorra, che scrive: «Mi segnalano la mia firma in un appello per Cesare Battisti (...) Finita lì per chissà quali strade del web e alla fine di chissà quali discussioni di quel periodo. Qualcuno mi mostra quel testo, lo leggo, vedo la mia firma e dico: non so abbastanza di questa vicenda (...) Chiedo quindi a Carmilla di togliere il mio nome, per rispetto a tutte le vittime». L' episodio, raccontato ieri sulle pagine del Riformista, ha sorpreso Evangelisti. Commenta: «Quando Saviano ha firmato quell' appello era un perfetto sconosciuto, nessuno gli ha fatto caso, nemmeno noi. Comunque ognuno è libero di mettere la sua firma o ritirarla, questo non diminuisce la stima che ho per l' autore di Gomorra». In tempi non sospetti, un altro grande firmò e poi si tirò indietro. «Sì, Marco Müller. La sua posizione fu assolutamente degna. In quello stesso periodo era stato nominato direttore della Mostra del Cinema di Venezia. Così ci scrisse una lettera cordiale nella quale pregava di essere esonerato, pur non trovando ingiustificato il nostro appello». Oggi come allora, lo rifarebbe il verde Paolo Cento. «Troppo facile togliere la firma adesso sull' onda dell' emotività - spiega -. Non ho particolare stima per la persona Battisti. La sua vicenda, tuttavia, esprime una delle fasi più drammatiche del nostro paese. Ho sempre sostenuto che la vendetta postuma ha poco a che fare con la giustizia. Semmai bisognerebbe chiudere quella stagione con una soluzione politica, affermando la supremazia della democrazia con un provvedimento di amnistia condizionato a una serie di atti: per esempio, il risarcimento delle vittime». Lo scrittore Tommaso Pincio sottoscrisse l' appello del 2004. «Oggi non lo rifarei. Sono passati cinque anni. È cambiato completamente il contesto. La mia posizione è molto vicina a quella di Saviano. Quell' appello riguardava il periodo in cui Battisti si trovava in Francia. Ricordo che scesero in campo intellettuali come Daniel Pennac e Fred Vargas. Ma ora sono mutate le condizioni. Il percorso seguito da Battisti non mi è sembrato limpido, in questi anni. Ecco, se dovessi mettere su una bilancia il comportamento di Battisti e quello di Adriano Sofri non avrei dubbi: ci sono modi e modi di affrontare il proprio destino e accettare determinate responsabilità. Sofri non ha mai rifiutato il confronto con la giustizia e la sua detenzione lo dimostra». L' appello pubblicato su Carmilla descrive l' ex leader dei Proletari armati per il comunismo come «un uomo onesto, arguto, profondo, anticonformista nel rimettere in gioco se stesso e la storia che ha vissuto. La sua vita in Francia è stata modesta, piena di difficoltà e di sacrifici, retta da una eccezionale forza intellettuale». Eppure, a costo di sembrare un «fiancheggiatore», oggi a quel testo darebbe di nuovo il suo consenso Tiziano Scarpa, firmatario numero undici. Lo spiega: «Ci sembrava che si volesse addossare a una persona sola una responsabilità immensa. L' impressione era che stessero schiacciando un uomo con prove processuali alquanto dubbie. La lotta armata non mi appartiene, né per generazione né per carattere. Ma aggiungo: a cosa servono gli scrittori se non a prendere posizione sulle cose scomode?». Elvira Serra * * * La lettera per cancellare il nome Roberto Saviano «La mia firma è finita lì per chissà quali strade del web e alla fine di chissà quali discussioni di quel periodo. Chiedo di togliere il mio nome, per rispetto a tutte le vittime»

Serra Elvira

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23 dicembre 2010 4 23 /12 /dicembre /2010 13:28

Milano, 21 gennaio 1970: un grande corteo (non autorizzato) di studenti e operai contro la repressione viene attaccato dalla polizia, che non riesce a disperderlo. Per fortuna non ci scappa il morto. Sulla sinistra, senza barba ma col solito eskimo, il vostro blogger.21gennaio1970.jpg

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